Topic 3

Buone pratiche che possono garantire la riduzione o l’uso controllato dei pesticidi (ad esempio, la gestione integrata dei parassiti).

1. INTRODUZIONE AL CONTROLLO DEI PARASSITI

Per molto tempo la lotta contro i parassiti delle piante si è basata sull’uso di prodotti fitosanitari di origine minerale (zolfo e rame) o vegetale (nicotina, quassina). La scoperta delle proprietà fungicide del rame contro la peronospora della vite risale al secolo scorso, una scoperta che ha segnato l’inizio dell’uso dei prodotti fitosanitari su larga scala, anche se il rame, già conosciuto dai Greci nel 1000 a.C., era già utilizzato nel 1850 nel controllo dell’oidio della vite. A partire dagli anni Cinquanta, nuove molecole di sintesi, insetticidi ed erbicidi e anche fungicidi hanno permesso di ottenere i primi eclatanti successi.

Questa fase è stata caratterizzata da un crescente utilizzo di questi mezzi di controllo con una conseguente trasformazione dei sistemi di coltivazione delle piante, nonché un notevole aumento della produzione agricola.

D’altra parte, l’uso di prodotti fitosanitari contro gli insetti divenne indiscriminato. I trattamenti erano sia preventivi che ripetuti a determinati intervalli e venivano effettuati seguendo le fasi fenologiche della coltura senza tenere conto della presenza del parassita, della dimensione della popolazione o del rischio reale di sviluppo dell’infestazione. I prodotti utilizzati avevano un ampio spettro d’azione e provocavano non solo l’eliminazione degli organismi nocivi, ma anche quella degli organismi utili. Un’altra questione degna di nota è stata la selezione di popolazioni resistenti, nonché l’insorgenza di parassiti secondari, fino ad allora innocui a causa dell’eliminazione dei loro antagonisti naturali.

Dal 1965 al 1980, il numero di specie di insetti resistenti è aumentato del 150%. Una spiegazione potrebbe essere l’utilizzo da parte degli agricoltori di concentrazioni più elevate di prodotto, di applicazioni più frequenti e di prodotti fitosanitari diversi o di prodotti chimici con diverse sostanze attive, generando quella che è stata definita la “spirale dei trattamenti”.

Controllo chimico tradizionale o a calendario

La lotta chimica calendarizzata o tradizionale è un metodo di controllo che prevede trattamenti precauzionali con una frequenza fissa e predeterminata, in determinate fasi fenologiche. Nell’ambito di questo metodo, la protezione è sempre concepita in anticipo laddove esiste una suscettibilità fenologica e deve coprire l’intera durata della fase fino alla persistenza dello stato di sensibilità. I trattamenti vengono quindi effettuati seguendo le fasi fenologiche e ripetuti a intervalli regolari in base alla persistenza del prodotto utilizzato, senza verificare l’effettiva necessità e quindi senza considerare la presenza del parassita o della sua entità.

Di facile acquisizione e realizzazione pratica, può essere facilmente attuato anche da chi ha limitate conoscenze di disinfestazione, ma questo tipo di controllo comporta una serie di effetti collaterali, già anticipati. Inoltre, altri effetti negativi riguardano l’esposizione a tali prodotti degli insetti impollinatori e in particolare delle api, la produzione di frutta e verdura con un’elevata presenza di residui, l’aumento del numero di avvelenamenti dovuti ai prodotti fitosanitari, l’incremento dei rischi igienico-sanitari per la salute pubblica e l’inquinamento ambientale.

Pertanto, il controllo a calendario è diventato, nel tempo, un metodo superato. Ciò è dovuto principalmente all’introduzione di nuove sostanze attive e all’aumento delle conoscenze fitosanitarie.

A partire dagli anni ’80, quindi, si è iniziato ad affrontare il problema del controllo anche da un punto di vista ecologico-ambientale, applicando sistemi più razionali e a minor impatto ambientale.

Controllo chimico basato sulla soglia

In questo tipo di metodo, i trattamenti vengono applicati solo quando un determinato parassita raggiunge una densità di popolazione tale da giustificare il costo dell’intervento, oppure quando il danno potenzialmente arrecato alla coltura è superiore al costo da sostenere per effettuare il trattamento.

I costi del trattamento vengono quindi confrontati con il danno economico stimato: se quest’ultimo supera il costo del primo, l’intervento è pienamente giustificato, viceversa, se il costo del trattamento è maggiore del danno, il trattamento non è giustificato e la presenza dell’erbivoro è quindi tollerata. Attraverso il monitoraggio della popolazione di parassiti o dei danni diretti si stabilisce la valutazione della soglia di intervento.

Per gli insetti fitofagi e gli acari, il rischio viene accertato con campionamenti periodici in campo, con i quali è possibile definire l’epoca di comparsa e la reale densità del parassita attraverso controlli visivi sugli organi vegetali (scouting) e/o con sistemi di monitoraggio (es. trappole a feromoni, cromotropiche e ad esca). Inoltre, il prodotto fitosanitario da utilizzare e il suo tempo di impiego si basano sulla sua selettività e tossicità nei confronti degli organismi.

Si presta particolare attenzione al ciclo biologico dell’organismo e alla modalità d’azione della sostanza attiva. I prodotti utilizzati devono essere selettivi nei confronti del singolo parassita da eliminare, riducendo al minimo le conseguenze non bersaglio sui suoi nemici naturali. La selettività può dipendere dalle caratteristiche della sostanza attiva, ma anche dallo stato di sviluppo del parassita e dell’insetto utile (ad esempio, i trattamenti invernali possono essere meno dannosi per gli insetti utili, poiché molte specie sono al riparo e più protette).

Nella scelta del prodotto fitosanitario si valutano anche la degradabilità del prodotto nel frutto e nell’ambiente e la sua tossicità. Rispetto a quello a calendario, il controllo chimico a soglia determina una riduzione del numero di interventi, con un vantaggio economico, ambientale e sanitario: si riduce l’impatto ambientale, aumenta la salubrità del prodotto e si minimizza il rischio per l’operatore.

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2. GESTIONE INTEGRATA DEI PARASSITI

La gestione integrata dei parassiti (IPM) è la naturale evoluzione della lotta chimica a soglia. Condivide gli stessi principi della lotta chimica a soglia, ma integra numerosi metodi di controllo, anche se non strettamente legati alla lotta.

Secondo la Direttiva 2009/128/CE del 21 ottobre 2009, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi, la difesa integrata è definita come “l’attenta considerazione di tutti i metodi di protezione fitosanitaria disponibili e la conseguente integrazione di misure appropriate volte a scoraggiare lo sviluppo di popolazioni di organismi nocivi e che mantengono l’uso di prodotti fitosanitari e di altre forme di intervento a livelli giustificati in termini economici ed ecologici e riducono o minimizzano i rischi per la salute umana e per l’ambiente”.

Questo metodo mira a razionalizzare e ottimizzare l’uso di tutte le tecniche di controllo disponibili, siano esse di natura chimica, fisica, agronomica, biologica o biotecnologica, al fine di mantenere la popolazione di parassiti o patogeni di piante e infestanti al di sotto della soglia di danno economico.

Fondamentale è conoscere la biologia dei parassiti, così come effettuare un monitoraggio accurato per identificarli e intervenire tempestivamente, verificando anche la presenza e la densità dei nemici naturali. Nella difesa integrata si privilegiano gli interventi biologici, biotecnologici e meccanici e, se è necessario ricorrere a trattamenti chimici, si utilizzano prodotti meno tossici e più selettivi.

La prevenzione nella lotta integrata

Le misure preventive sono il primo importante scopo della lotta integrata, grazie alle quali è possibile intervenire sulle condizioni responsabili dello sviluppo e della diffusione dei parassiti.

La prevenzione si basa innanzitutto sulla scelta di cultivar resistenti o tolleranti, soprattutto nelle aree in cui i parassiti delle piante sono endemici.

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Le tecniche di semina e trapianto prevengono lo sviluppo di alcuni parassiti. Il momento in cui vengono eseguite è particolarmente importante, ad esempio un ritardo nella semina può permettere di sfuggire agli attacchi, o viceversa.

Anche la consociazione e la rotazione sono efficaci per prevenire la diffusione dei parassiti. La combinazione di piante diverse nello stesso appezzamento può determinare un ambiente sfavorevole allo sviluppo dei parassiti: l’aumento della biodiversità aumenta anche l’equilibrio tra le specie. La rotazione delle colture può ridurre l’accumulo di parassiti delle piante, così come è noto che le stesse rotazioni contrastano l’impoverimento nutrizionale del suolo. Ad esempio, con il sovescio di brassicacee, piante ad alto contenuto di composti glucidici, è possibile ottenere un’azione biocida contro i nematodi dannosi per le piante.

Il regime di irrigazione è un altro aspetto importante nella gestione integrata dei parassiti. Un’irrigazione eccessiva causa un aumento dell’umidità che può favorire lo sviluppo di acari, cocciniglie e afidi.

In questo contesto, anche la lavorazione del terreno è importante perché deve garantire un adeguato flusso d’acqua. Un’attenzione particolare va riservata anche agli interventi di potatura, che sono in grado di svolgere un’azione preventiva su alcune specie vegetali, come ad esempio le cocciniglie. Inoltre, questo intervento può influire anche sulla salute delle piante, rendendole più capaci di reagire e resistere agli attacchi dei parassiti. Nell’esecuzione di queste operazioni, un’attenta igiene, profilassi, scrupolosa pulizia e disinfezione degli strumenti e delle macchine utilizzate è senza dubbio essenziale per ridurre la comparsa e l’incidenza dei parassiti.

Infine, negli ultimi anni, l’allestimento di infrastrutture ecologiche, come siepi e bordure, formate da piante nettarifere e piante spontanee, è diventato importante perché in grado di determinare un incremento di organismi utili (come impollinatori, antagonisti di insetti dannosi).

Il monitoraggio dei parassiti nella lotta integrata

Il criterio del monitoraggio costante rappresenta il principio cardine della IPM, con l’esecuzione degli interventi solo una volta accertata l’effettiva presenza e consistenza degli organismi dannosi. Si deduce quindi l’abbandono dell’approccio di controllo colturale predeterminato da calendari di interventi stabiliti solo in relazione alle fasi fenologiche della coltura. Assume quindi centralità la corretta esecuzione dei campionamenti, che è certamente l’aspetto più delicato e importante di tutte le strategie di IPM.

Esistono diversi modi per monitorare e valutare la soglia di intervento.
In particolare, per i parassiti erbivori (acari e insetti):

  • Cattura e successivo conteggio degli adulti mediante trappole; le più consigliate sono le trappole a feromoni o ad azione alimentare, più selettive delle trappole cromotropiche;
  • Conteggio della presenza di parassiti su frutti, foglie e rametti. I dati vengono poi espressi in % di infestazione o in numero di individui vivi (larve o adulti);
  • Calcolo delle soglie di sviluppo termico delle diverse specie di insetti (gradi-giorni).

I metodi di cui sopra possono essere utilizzati in combinazione. Le trappole a feromoni possono indicare, per alcuni insetti, il momento in cui sono presenti gli stadi più sensibili al trattamento, ma non forniscono informazioni precise sul livello di infestazione, per il quale è quindi necessario effettuare un conteggio diretto in campo degli organi colpiti.

I tipi di campionamento più utilizzati sono due:

  • ispezione visiva;
  • campionamento con trappole.

La prima consiste nel raccogliere un certo numero di organi vegetali (scelti a caso) per verificare il livello di presenza dell’agente dannoso e quindi determinare il valore della produzione potenzialmente persa. Di solito consiste nello scegliere casualmente un numero di piante, ad esempio 10, sulle quali vengono rimossi a caso dieci frutti, rametti e o foglie. Una volta ottenuta la percentuale di parti della pianta attaccate, questa deve essere nota come soglia. Questo tipo di campionamento è molto affidabile se eseguito correttamente.

Il secondo tipo di campionamento è molto utile per monitorare insetti importanti come Aonidiella aurantia e la mosca della frutta dell’olivo (Bactrocera oleae). Normalmente si utilizzano trappole a feromoni sessuali specifiche per la specie da monitorare e se ne installano tre per ettaro, più una trappola per ogni ettaro successivo. Le catture settimanali vengono poi registrate per individuare i cosiddetti picchi di sfarfallamento, in base ai quali è possibile scegliere il momento giusto per effettuare l’intervento.

Nell’IPM, quindi, un ruolo importante è svolto dalla valutazione economica del danno, per la quale è necessario conoscere il valore della produzione che andrebbe persa a seguito dell’attacco e il costo dell’intervento, per decidere se irrorare o meno (come già detto, l’irrorazione è consigliata solo quando è economicamente vantaggiosa).

Il danno che può essere arrecato alla produzione può essere diretto. Si verifica quando l’organo da commercializzare o consumare viene attaccato direttamente: in questo caso, è facile mettere in relazione il livello di presenza dell’agente di danno e il valore della produzione che andrebbe persa. Il danno indiretto, invece, si verifica quando l’organo colpito è diverso da quello da commercializzare o consumare: in questo caso, è più complicato mettere in relazione il livello di presenza dell’agente di danno e il valore della produzione.

Per i parassiti più importanti, tuttavia, sono disponibili soglie economiche espresse in percentuale di organi attaccati o in numero di catture nelle trappole. Il trattamento viene effettuato quando si raggiunge la percentuale di organi attaccati o quando il numero di catture corrisponde alla soglia di intervento. Va inoltre ricordato che i valori soglia per lo stesso parassita possono variare a seconda della regione e delle condizioni climatiche. È quindi necessario fare riferimento ai disciplinari di lotta integrata della propria regione, in cui le strategie di difesa sono adattate alla situazione locale.

Metodo di lotta integrata

Tra i diversi mezzi che possono essere utilizzati nella lotta integrata, la lotta biologica è da preferire per la sua sostenibilità, specificità e modalità d’azione. Questo metodo consiste nell’utilizzare nemici naturali e prodotti naturali, favorendo lo sviluppo di organismi utili naturalmente presenti nelle colture. Si può anche ricorrere all’uso di antagonisti biologici introdotti dall’agricoltore. Gli organismi utili sono predatori, parassitoidi e microrganismi.

I predatori che possono nutrirsi dei parassiti sono agenti di controllo biologico fondamentali contro i parassiti. Coccinelle, sirfidi e crisope, ad esempio, sono predatori molto attivi di afidi e cocciniglie.

Altri agenti biologici sono i funghi antagonisti di patogeni e insetti, come Beauveria bassiana, un fungo antagonista utilizzato come mezzo di controllo per la sua attività insetticida e acaricida. Infine, anche l’uso di cultivar resistenti o tolleranti, discusso nelle tecniche di prevenzione, rientra tra i mezzi di difesa biologica.

Le tecniche agronomiche, come la potatura e il trattamento dei residui colturali, sono due delle più antiche pratiche colturali utilizzate per controllare i parassiti. Infatti, la potatura delle piante arboree spesso riduce drasticamente la presenza di parassiti delle piante, oltre all’effetto di ringiovanimento e rafforzamento già menzionato quando si è parlato di prevenzione. Inoltre, l’eliminazione dei residui delle colture erbacee, soprattutto in presenza di gravi attacchi, riduce notevolmente la popolazione di parassiti e quindi la probabilità di intervenire con prodotti fitosanitari.

Anche un’adeguata lavorazione del terreno fa parte dei metodi agronomici della lotta integrata: ad esempio, la lavorazione superficiale porta in superficie le forme svernanti degli insetti, che sono così esposte al sole e all’attacco dei nemici naturali.

Si possono utilizzare anche strumenti fisici e meccanici, come la solarizzazione, una tecnica in grado di risanare i suoli dagli attacchi dei microrganismi, realizzata mediante l’apposizione di pellicole di plastica sul terreno. Per il controllo dei parassiti nelle serre, invece, si può utilizzare il vapore attraverso apposite macchine erogatrici.

I metodi meccanici, invece, prevedono l’utilizzo di reti escludibili, in campo aperto o in serra: reti con maglie di dimensioni variabili a seconda del tipo di insetto da controllare, che chiudono tutte le aperture, sia ai lati che sulla cima.

Infine, le sostanze chimiche possono essere utilizzate solo quando le misure preventive non sono sufficienti a garantire un’adeguata protezione delle colture e quando anche i metodi di controllo con maggiori garanzie per la salute umana e la protezione dell’ambiente non sono in grado di assicurare il controllo degli organismi nocivi.

Tuttavia, il principio attivo da utilizzare deve essere il più selettivo possibile e deve avere effetti minimi sulla salute umana e sull’ambiente.

Gli strumenti biotecnici prevedono l’uso di molecole derivate da organismi biologici. Tali molecole hanno un’elevata specificità d’azione e un basso impatto ambientale. Tra queste, i feromoni sessuali sono utilizzati nella tecnica di disturbo dell’accoppiamento. In natura, piccole quantità di feromone sessuale emesso dalla femmina sono sufficienti per farla individuare dal maschio. Con la tecnica dell’interruzione dell’accoppiamento, migliaia di erogatori di feromone sessuale sintetico vengono collocati nel campo, con la conseguente incapacità del maschio di localizzare con successo la femmina.

Anche gli insetticidi e i fungicidi ottenuti da organismi viventi, come le tossine batteriche (ad esempio Bacillus thuringiensis) e fungine (Trichoderma spp.), sono considerati strumenti biotecnici di controllo.

I prodotti chimici, invece, sono prodotti fitosanitari in cui la sostanza attiva è costituita da molecole sintetiche o naturali. Nella lotta integrata è necessario ridurre l’uso di prodotti fitosanitari ad ampio spettro, caratterizzati da pericolosi effetti collaterali e che portano le colture fuori equilibrio. Si dovrebbero preferire prodotti fitosanitari selettivi che rispettino gli organismi benefici.

Anche il modo in cui un agente chimico viene applicato è di grande importanza. Gli interventi chimici localizzati sono quindi da preferire a quelli effettuati sull’intero appezzamento, che sono controproducenti ed economicamente svantaggiosi se l’organismo nocivo è presente solo in aree delimitate. L’applicazione localizzata riduce anche il rischio di effetti non bersaglio sulle piante utili.

Quando sono necessari trattamenti chimici ripetuti per controllare un parassita, è necessario adottare strategie mirate per non causare resistenza negli organismi bersaglio.

Queste strategie anti-resistenza richiedono un uso oculato del prodotto fitosanitario, poiché il suo uso massiccio potrebbe comprometterne, parzialmente o totalmente, l’efficacia. Inoltre, è preferibile l’uso di miscele di prodotti con diversi meccanismi d’azione.

Infine, è estremamente importante leggere l’etichetta del prodotto fitosanitario, che lo caratterizza dal punto di vista tossicologico e ne vincola l’uso a condizioni specifiche. Prima di essere immesso sul mercato, un prodotto fitosanitario deve essere sottoposto a una valutazione del rischio, sia per l’uomo che per gli organismi non bersaglio.

Questo porta a riportare in etichetta diverse condizioni d’uso. L’uso di un prodotto fitosanitario è quindi sicuro solo se vengono rispettate tutte le condizioni riportate in etichetta, come la dose da utilizzare, gli usi consentiti, ecc.

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3. LEGISLAZIONE

Direttiva 2009/128/CE

La questione dell’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari è affrontata nella Direttiva n. 128/2009 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi. Si tratta della prima norma europea sui prodotti fitosanitari che va oltre i criteri di autorizzazione e gli aspetti relativi ai residui nei prodotti alimentari e copre anche gli usi non agricoli (protezione del verde pubblico, delle acque potabili e di balneazione, controllo delle erbe infestanti su strade e ferrovie). L’attenzione è rivolta non solo all’impatto sugli operatori agricoli che manipolano queste sostanze, ma anche a tutte le persone che possono esserne accidentalmente esposte, con particolare attenzione alla protezione degli organismi più vulnerabili. Questo regolamento rappresenta anche una svolta per quanto riguarda l’attuazione della produzione integrata a livello comunitario: non è solo incoraggiata, ma in alcuni casi è obbligatoria.

La direttiva prevede che gli Stati membri adottino e trasmettano alla Commissione, entro il 14 dicembre 2012, un Piano d’azione nazionale che definisca gli obiettivi quantitativi, i traguardi, le misure e i calendari per ridurre i rischi e gli impatti dell’uso dei pesticidi sulla salute umana e sull’ambiente e per incoraggiare lo sviluppo e l’introduzione della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi al fine di ridurre la dipendenza dall’uso dei pesticidi (art. 4), che dovrà essere rivisto almeno ogni cinque anni.

Inoltre, gli Stati membri devono garantire che tutti gli utilizzatori professionali, i distributori e i consulenti abbiano accesso a una formazione adeguata attraverso organismi designati dalle autorità competenti. Tale formazione comprende sia la formazione di base che quella di aggiornamento, per acquisire e aggiornare le conoscenze in modo appropriato. Pertanto, gli Stati devono istituire sistemi di certificazione e designare le autorità competenti responsabili della loro attuazione (art. 5). Secondo la Direttiva, gli Stati membri devono anche garantire che i distributori che vendono pesticidi a utenti non professionali forniscano informazioni generali sui rischi per la salute umana e per l’ambiente connessi all’uso dei pesticidi, in particolare sui pericoli, sull’esposizione, sulle condizioni di stoccaggio, sulla corretta manipolazione e applicazione e sullo smaltimento sicuro, in conformità con la legislazione comunitaria sui rifiuti e tenendo conto delle alternative a basso rischio (art. 6).

L’informazione e la sensibilizzazione del pubblico rivestono quindi una grande importanza, come sottolinea l’articolo 7, secondo cui gli Stati membri devono adottare misure per educare il pubblico e promuovere e facilitare programmi di informazione e sensibilizzazione accurati ed equilibrati sui pesticidi per il pubblico in generale, in particolare sui rischi e sui potenziali effetti acuti e cronici sulla salute umana, sugli organismi non bersaglio e sull’ambiente derivanti dal loro uso, nonché sull’uso di alternative non chimiche.

La direttiva contiene altri obblighi importanti: le attrezzature per l’applicazione dei pesticidi per uso professionale devono essere sottoposte a ispezioni periodiche; gli Stati membri devono garantire che l’irrorazione aerea sia vietata (tranne in casi particolari e a condizioni specifiche) e assicurare che vengano adottate misure adeguate per proteggere l’ambiente acquatico e le fonti di acqua potabile dall’impatto dei pesticidi. Gli Stati membri devono inoltre garantire che l’uso dei pesticidi sia ridotto al minimo, considerando i prodotti fitosanitari a basso rischio e le misure di controllo biologico, e che l’uso sia vietato in aree specifiche.

Il divieto esiste per:

  • Aree utilizzate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, come parchi e giardini pubblici, campi sportivi e aree ricreative, cortili di scuole e parchi giochi per bambini, nonché in prossimità di aree in cui si trovano strutture sanitarie;
  • aree protette o designate per scopi di conservazione;
  • aree trattate di recente accessibili ai lavoratori agricoli.

Un altro punto chiave della legislazione è l’articolo 14, relativo alla gestione integrata dei parassiti: Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie e appropriate per incoraggiare una gestione dei parassiti a basso apporto di pesticidi, dando priorità ai metodi non chimici, ove possibile, in modo che gli utilizzatori professionali di pesticidi adottino le pratiche o i prodotti che presentano il minor rischio per la salute umana e l’ambiente tra tutti quelli disponibili per lo stesso scopo. La gestione dei parassiti a basso apporto di pesticidi comprende sia la gestione integrata dei parassiti che l’agricoltura biologica, secondo il Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, del 28 giugno 2007, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli. Gli Stati membri definiscono o facilitano la creazione delle condizioni necessarie per l’attuazione della difesa integrata. In particolare, devono garantire che le informazioni e gli strumenti per il monitoraggio dei parassiti e il processo decisionale, nonché i servizi di consulenza sulla IPM siano disponibili per gli utenti professionali. Entro il 30 giugno 2013, gli Stati membri riferiscono alla Commissione sull’attuazione dei paragrafi 1 e 2, in particolare sull’esistenza delle condizioni necessarie per l’attuazione della difesa integrata. Gli Stati membri descrivono nei rispettivi piani d’azione nazionali le modalità con cui garantiscono che tutti gli utilizzatori professionali di pesticidi applichino i principi generali della difesa integrata di cui all’allegato III entro il 10 gennaio 2014. Gli Stati membri stabiliscono incentivi adeguati per incoraggiare gli utilizzatori professionali ad applicare volontariamente linee guida specifiche per coltura o settore per la gestione integrata delle specie nocive. Le autorità pubbliche e/o le organizzazioni che rappresentano particolari utilizzatori professionali possono elaborare tali linee guida. Gli Stati membri fanno riferimento alle linee guida che ritengono pertinenti e appropriate nei loro piani d’azione nazionali (art. 14).

L’Allegato III della direttiva stabilisce i principi generali della difesa integrata che gli utilizzatori professionali di pesticidi devono attuare. I principi sono i seguenti:

  1. La prevenzione e/o la soppressione degli organismi nocivi deve essere perseguita o promossa mediante:
    • Rotazione delle colture;
    • L’uso di tecniche colturali appropriate (ad esempio, falsa semina, date e densità di semina, sotto-semina, lavorazione conservativa del terreno, potatura e semina diretta);
    • Uso, ove appropriato, di cultivar resistenti/tolleranti e di sementi e materiale di propagazione standard/certificato;
    • Uso di pratiche di concimazione, calcinazione e irrigazione/drenaggio equilibrate;
    • Prevenzione della diffusione di organismi nocivi attraverso misure igieniche (ad esempio, pulizia regolare di macchine e attrezzature);
    • Protezione e crescita delle popolazioni di importanti organismi utili, ad esempio attraverso adeguate misure fitosanitarie o l’uso di infrastrutture ecologiche all’interno e all’esterno dei siti produttivi.
  2. Gli organismi nocivi devono essere monitorati con metodi e strumenti adeguati, se disponibili. Questi strumenti appropriati dovrebbero includere, ove possibile, osservazioni sul campo e sistemi di allerta, previsione e diagnosi precoce scientificamente validi, nonché l’utilizzo di consulenti professionalmente qualificati;
  3. Sulla base dei risultati del monitoraggio, l’utilizzatore professionale deve decidere se e quando applicare le misure fitosanitarie. I valori soglia scientificamente affidabili e validi sono elementi essenziali per il processo decisionale. Per gli organismi nocivi, i valori soglia definiti per regione, aree e colture specifiche e condizioni climatiche particolari devono essere presi in considerazione, se possibile, prima del trattamento;
  4. I metodi biologici sostenibili, i metodi fisici e altri metodi non chimici devono essere preferiti ai metodi chimici se consentono un adeguato controllo dei parassiti;
  5. I pesticidi utilizzati devono essere il più possibile selettivi per gli organismi bersaglio e devono avere effetti minimi sulla salute umana, sugli organismi non bersaglio e sull’ambiente;
  6. L’utilizzatore professionale deve limitare l’uso dei pesticidi e di altre forme di intervento ai livelli necessari, ad esempio utilizzando dosi ridotte, riducendo la frequenza dei trattamenti o ricorrendo a trattamenti parziali, facendo attenzione che il livello di rischio per la vegetazione sia accettabile e che non aumenti il rischio di sviluppo di meccanismi di resistenza nelle popolazioni di parassiti;
  7. Quando il rischio di resistenza a una misura fitosanitaria è noto e il livello dei parassiti richiede trattamenti ripetuti con i pesticidi, devono essere attuate le strategie anti-resistenza disponibili per mantenere l’efficacia del prodotto. Ciò può includere l’uso di diversi pesticidi con differenti meccanismi d’azione.
  8. Sulla base dei dati relativi all’uso dei pesticidi e al monitoraggio dei parassiti, l’utilizzatore professionale deve verificare il grado di successo delle misure fitosanitarie applicate.

Gli Stati membri devono inoltre quantificare i progressi compiuti nella riduzione dei rischi e degli impatti negativi derivanti dall’uso dei pesticidi, utilizzando indicatori di rischio armonizzati. In particolare, gli Stati membri devono:

  1. Calcolare gli indicatori di rischio armonizzati utilizzando i dati statistici raccolti in conformità alla legislazione comunitaria in materia di statistiche sui prodotti fitosanitari e altri dati pertinenti;
  2. Rilevare le tendenze nell’uso di determinate sostanze attive;
  3. Identificare elementi prioritari, come sostanze attive, colture, regioni o pratiche che richiedono particolare attenzione, o buone pratiche che possono essere adottate come modelli per raggiungere gli obiettivi di questa direttiva.

Come detto, a seguito della Direttiva 2009/128/CE, quindi, tutti gli Stati membri sono obbligati ad attuare Piani d’Azione Nazionali per l’uso, il monitoraggio e il controllo dei pesticidi.

Piani d’azione nazionali

Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) è stato definito per stabilire gli obiettivi, le misure, i tempi e gli indicatori per la riduzione dei rischi e degli impatti derivanti dall’uso dei prodotti fitosanitari. Nell’ambito del PAN, la difesa integrata è definita come un’attenta considerazione di tutti i metodi di protezione delle piante disponibili e la successiva integrazione di misure appropriate volte a contenere lo sviluppo delle popolazioni di organismi nocivi e a mantenere l’uso dei prodotti fitosanitari e di altre forme di intervento a livelli che siano economicamente ed ecologicamente giustificati e che riducano o minimizzino i rischi per la salute umana e l’ambiente.

In Italia, ad esempio, il Piano d’azione è stato adottato il 22 gennaio 2014 e mira a guidare, garantire e monitorare un processo di cambiamento nell’uso dei prodotti fitosanitari verso forme caratterizzate da una maggiore compatibilità e sostenibilità ambientale e sanitaria.

In linea con la Direttiva 2009/128/CE e con il Decreto Legislativo 150/2012, il Piano promuove lo sviluppo e l’introduzione della difesa integrata o di tecniche alternative al fine di ridurre la dipendenza dai prodotti fitosanitari, anche in relazione alla necessità di garantire una produzione sostenibile.

Gli obiettivi del Piano riguardano le seguenti aree:

  • Protezione degli utilizzatori di prodotti fitosanitari e della popolazione interessata;
  • Protezione del consumatore;
  • Protezione dell’ambiente acquatico e dell’acqua potabile;
  • Conservazione della biodiversità e protezione degli ecosistemi.

Per raggiungere gli obiettivi, il piano mira a garantire che tutti gli utilizzatori professionali, i distributori e i consulenti sull’uso dei prodotti fitosanitari abbiano conoscenze adeguate, che devono essere costantemente aggiornate. I cittadini devono inoltre essere informati dei rischi e dei potenziali effetti acuti e cronici dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sugli organismi non bersaglio e sull’ambiente, nonché dell’uso di alternative non chimiche. Il piano prevede inoltre che l’applicazione dei prodotti fitosanitari sia sottoposta a controlli funzionali periodici.

Il piano stabilisce inoltre che: l’irrorazione aerea (con deroghe in casi specifici) è vietata; devono essere applicate misure specifiche per proteggere l’ambiente acquatico e le fonti di acqua potabile dall’impatto dei prodotti fitosanitari; e dichiara inoltre che devono essere attuate misure appropriate per proteggere aree specifiche. Secondo il Piano, la manipolazione e l’immagazzinamento dei prodotti fitosanitari e il trattamento dei loro imballaggi e dei loro residui devono essere effettuati in modo da non costituire un pericolo per la salute umana o per l’ambiente. Infine, il piano prevede una gestione dei parassiti a basso impatto (che comprende sia l’agricoltura integrata che l’agricoltura biologica), nonché un aumento delle aree coltivate con metodo biologico.

Diversi attori sono coinvolti nell’attuazione del PAN. Si tratta degli operatori agricoli e di qualsiasi altro utilizzatore di prodotti fitosanitari, dei produttori e distributori di prodotti fitosanitari, nonché di tutti i soggetti che propongono metodologie e tecniche alternative, dei consulenti fitosanitari, dei gestori di reti ferroviarie e stradali e di tutti gli enti pubblici e privati, comprese le associazioni, che gestiscono aree verdi frequentate dalla popolazione.

Per popolazione interessata si intende la popolazione che vive all’interno o in prossimità delle aree in cui vengono effettuati trattamenti con prodotti fitosanitari. I consumatori interessati sono gli utilizzatori di prodotti agroalimentari. Il Piano incoraggia l’aumento delle aree coltivate con metodi integrati e biologici. Sono possibili due livelli di IPM: IPM obbligatoria e IPM volontaria.

La gestione integrata dei parassiti obbligatoria comprende:

  • l’applicazione di tecniche di prevenzione e monitoraggio di parassiti, infezioni e infestazioni;
  • l’uso di mezzi biologici di controllo dei parassiti;
  • l’uso di pratiche colturali appropriate;
  • l’uso di prodotti fitosanitari con il minor rischio per la salute umana e l’ambiente tra quelli disponibili per lo stesso scopo.

Gli utilizzatori professionali di prodotti fitosanitari devono quindi applicare i principi generali della lotta integrata obbligatoria. Gli utilizzatori devono conoscere o avere accesso a:

  • dati meteorologici dettagliati;
  • dati fenologici e fitosanitari forniti da una rete di monitoraggio e, se disponibili, da sistemi di previsione e di allarme sullo sviluppo di eventi avversi importanti;
  • bollettini territoriali di lotta integrata per le principali colture;
  • materiale informativo e/o manuali per l’applicazione della difesa integrata, preparati e diffusi dalle autorità competenti.

Per quanto riguarda la lotta integrata obbligatoria, non ci sono limiti all’uso dei prodotti fitosanitari sul mercato, ma devono essere utilizzati in conformità con le etichette dei pesticidi e con i principi della lotta integrata stabiliti nell’allegato III del decreto di attuazione della direttiva (150/2012).

La difesa integrata volontaria è invece un sistema attuato attraverso un documento che specifica le norme tecniche e le pratiche di difesa integrata specifiche per le colture. Tale documento (definito dalle Regioni e Province autonome) descrive le pratiche agronomiche e fitosanitarie, le regole per la scelta dei prodotti fitosanitari e i limiti al numero di trattamenti.

È obbligatorio rispettare le regole del disciplinare volontario di produzione integrata per tutte le aziende agricole che intendono attuarlo. È prevista anche la taratura delle attrezzature per la distribuzione dei prodotti fitosanitari presso i centri di prova autorizzati.

I disciplinari contengono tutte le disposizioni relative alle tecniche agronomiche, di diserbo e di protezione delle piante da osservare.

Per ogni coltura sono indicate le avversità, le indicazioni sui rilievi da effettuare, i criteri di intervento e i prodotti fitosanitari ritenuti efficaci, nonché le limitazioni al loro impiego. Le limitazioni all’uso dei prodotti fitosanitari tengono conto della buona efficacia del prodotto contro l’avversità e della minimizzazione dei rischi per la salute umana e l’ambiente: considerando la tossicità acuta e cronica dei prodotti, la persistenza, la mobilità nel suolo e l’ecotossicologia. Vengono inoltre stabilite limitazioni basate sulla selettività verso gli organismi utili e per la coltura, sulla residualità sulla coltura (con particolare attenzione alla parte commestibile), sulla prevenzione dei fenomeni di resistenza e sulla sostenibilità economica.

Anche l’agricoltura biologica è citata nel PAN e l’obiettivo da raggiungere con la graduale attuazione del Piano è quello di aumentare la SAU nazionale destinata all’agricoltura biologica. La gestione del sistema produttivo è finalizzata a garantire un elevato livello di biodiversità, nonché la creazione e il mantenimento di infrastrutture ecologiche e la conservazione di organismi benefici.

Nuovo Piano d’Azione Nazionale

Il PAN per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari viene aggiornato periodicamente in conformità alla Direttiva 2009/128/CE. Diversi Stati membri dell’UE hanno già stabilito una revisione del PAN.

Gli obiettivi generali dei nuovi PAN sono la riduzione dell’impatto dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull’ambiente e sulla biodiversità, la tutela degli utilizzatori dei prodotti fitosanitari, la protezione delle risorse idriche, l’implementazione della gestione integrata dei parassiti e l’uso di strategie di controllo alternative, nonché la diffusione dell’agricoltura integrata e biologica. Il Piano fissa anche degli obiettivi quantitativi da raggiungere entro la sua data di scadenza (cioè il quinto anno successivo alla sua entrata in vigore). Tali obiettivi sono, ad esempio, l’aumento del 30% della superficie agricola con metodi di produzione integrata e l’aumento del 60% delle aree agricole con agricoltura biologica. Informazioni più dettagliate sui PAN per gli Stati membri dell’UE sono disponibili sul sito https://food.ec.europa.eu/plants/pesticides/sustainable-use-pesticides/national-action-plans_en.

4. CONTROLLO BIOLOGICO DI ORGANISMI NATIVI E INVASIVI

Storia e tipi di controllo biologico

Il concetto di regolazione naturale degli insetti fitofagi deriva dal fatto che gli organismi viventi hanno nemici naturali e che questi ultimi sono in grado, in determinate circostanze di spazio e tempo, di tenere sotto controllo la densità di popolazione dei primi. La lotta biologica (o lotta biologica o biocontrollo) consiste nella conservazione e nell’uso di antagonisti naturali, con l’obiettivo di controllare la densità delle popolazioni di fitofagi e fitoparassiti e di mantenerla entro certi limiti, inferiori alle soglie di danno economico. Secondo la definizione tradizionale, la lotta biologica si limita a favorire l’azione di parassitoidi, predatori ed entomopatogeni per limitare lo sviluppo degli insetti, anche se in tempi recenti il concetto è stato ampliato. L’IOBC (International Organization for Biological Control) definisce il controllo biologico come l’uso di organismi viventi e dei loro prodotti per prevenire o ridurre le perdite o i danni causati da organismi nocivi.

A partire dal XX secolo, gli studi sulla lotta biologica si sono orientati verso l’introduzione di uno o più nemici naturali contro specifici parassiti esotici, provenienti dallo stesso luogo di origine. È proprio questo il principio della lotta biologica classica: introdurre un nemico naturale in un’area specifica dove prima non esisteva, per controllare il parassita a lungo termine.

Il primo grande successo ottenuto con la lotta biologica risale al 1888 ed è avvenuto in California, dove la cocciniglia Icerya purchasi era diventata particolarmente difficile da controllare. Questo insetto non causava alcun danno in Australia, suo luogo d’origine, a differenza della California, dove l’insetto era arrivato a minacciare la sopravvivenza dell’agrumicoltura. L’introduzione del nemico naturale si deve a Riley e Koebele, che hanno organizzato la raccolta in Australia del coccinellide predatore Rodolia cardinalis. Moltiplicate e rilasciate negli agrumeti, queste coccinelle hanno decimato la popolazione di cocciniglia fino a renderla completamente innocua in soli due anni.

Visto il notevole successo, nei decenni successivi l’insetto è stato introdotto in altre regioni agrumicole del mondo. Oggi Icerya purchasi è una specie cosmopolita presente negli agrumeti, ma incapace di causare grandi danni grazie al biocontrollo di Rodolia cardinalis.

Il controllo biologico classico, tuttavia, presenta dei limiti, nonostante i suoi numerosi successi. Il problema principale risiede nel fatto che una specie esotica, introdotta in un nuovo ambiente, può diventare essa stessa dannosa quando viene introdotta in nuove aree. Un esempio è Harmonia axyridis, introdotta negli Stati Uniti dall’Asia come agente di controllo biologico di afidi e cocciniglie a partire dal 1916. A partire dalla fine degli anni ’80, il coleottero ha iniziato a diffondersi in tutti gli Stati Uniti, colonizzando infine il Sud America, l’Egitto, il Sudafrica e l’Europa. L’insetto è oggi una specie modello di organismi diventati invasivi. Da qui la necessità di piani sperimentali precisi e di un elevato livello di conoscenza delle specie utilizzate, nonché di un’adeguata analisi dell’impatto ambientale. In molti Paesi (Stati Uniti e Nuova Zelanda tra i primi), le crescenti critiche all’introduzione di specie antagoniste per i possibili problemi ecologici che possono insorgere, sono state seguite da leggi e regolamenti più severi. Da un punto di vista ecologico, le specie introdotte per il controllo biologico appartengono a quattro nicchie trofiche principali: fitofagi, predatori, parassitoidi ed entomopatogeni.

I fitofagi vengono introdotti per controllare le specie vegetali infestanti e, in particolare, per combattere le specie esotiche invasive che spesso non hanno nemici naturali nella nuova area in cui si sono stabilite. Ad esempio, i tonchi, gli imenotteri nodosi, i lepidotteri monofagi o oligofagi, ecc. sono agenti di controllo delle piante esotiche invasive. Si noti come il controllo delle specie vegetali infestanti autoctone attraverso l’uso di antagonisti alieni sia considerato estremamente rischioso dalla comunità scientifica, e quindi da evitare. L’introduzione di specie predatrici, come emitteri o coleotteri, viene invece effettuata per il controllo di insetti fitofagi dannosi per le colture. I parassitoidi sono alcuni Ditteri e Imenotteri il cui ciclo vitale si svolge su diversi stadi dell’ospite. Esempi di parassiti entomopatogeni sono rappresentati da virus, batteri, ma anche da alcuni invertebrati come i nematodi, che agiscono come patogeni per varie specie di parassiti.

Per quanto riguarda il rischio associato all’introduzione di queste specie, esso è maggiore se la selettività dell’agente di controllo è bassa, cioè quanto minore è la relazione obbligata tra l’agente di controllo biologico e la specie bersaglio. In questo senso, a uno dei due estremi della scala del rischio si trovano le specie parassite obbligate, la cui presenza nel nuovo ecosistema è teoricamente limitata nello spazio (ecologico) e nel tempo; in particolare, limitata a dove e finché è distribuita la specie bersaglio, la cui eradicazione dovrebbe comportare l’estinzione dell’agente stesso. All’estremo opposto, vi sono specie generaliste dal punto di vista trofico, come insetti fitofagi non specifici per la specie, con un’ampia capacità di dispersione, e molti insetti predatori polifagi, in grado di predare specie diverse da quelle bersaglio.

In sintesi, i rischi associati all’introduzione di specie per i programmi di controllo biologico sono i seguenti:

  • attacco diretto a specie non bersaglio;
  • effetti indiretti su specie non bersaglio;
  • dispersione dell’agente di controllo in aree limitrofe;
  • il cambiamento delle relazioni tra l’agente di biocontrollo e l’ospite/preda, soprattutto in relazione all’espansione/contrazione degli areali geografici di distribuzione e alle variazioni nella fenologia delle specie indotte dal cambiamento climatico globale.

In questa prospettiva, quindi, è fortemente necessaria un’approfondita analisi del rischio che deve precedere qualsiasi programma di introduzione di nuove specie. Il controllo biologico può essere condotto con diverse strategie in base alla biologia della specie utilizzata e alle caratteristiche ambientali e climatiche in cui opera.

  1. Un primo metodo è quello protettivo (controllo biologico conservativo), che mira a mantenere e/o potenziare l’azione svolta dai nemici naturali già presenti, attraverso una serie di accorgimenti. Queste possono essere determinate pratiche colturali e di gestione dei parassiti, oppure un’adeguata manipolazione dell’ambiente. Ad esempio, un uso limitato e selettivo di prodotti chimici e il mantenimento di aree di rifugio possono essere pratiche adatte allo scopo.
  2. Il secondo metodo è quello dell’introduzione o della propagazione, che è quello utilizzato nella controllo biologico classico. Si basa sull’introduzione di un numero limitato di individui in un nuovo ambiente/area. Con questa tecnica, utilizzata soprattutto contro gli erbivori introdotti accidentalmente, si vuole ottenere un obiettivo a lungo termine riproducendo quelle condizioni che garantiscono il controllo naturale della dinamica di popolazione nell’area di origine del parassita.
  3. Il terzo metodo è quello inondativo (controllo biologico accrescitivo), che prevede il rilascio in massa di individui, che hanno un effetto a breve termine come entomofagi e non riescono a superare alcune avversità stagionali, si rarefanno per mancanza di ospiti o prede, o vengono decimati dalle applicazioni di pesticidi. Queste specie utili devono quindi essere reintrodotte periodicamente. Questo metodo presuppone la possibilità che l’antagonista venga allevato e moltiplicato in una biofabbrica.

5. QUADRI NORMATIVI DELLE SPECIE INVASIVE

Da un punto di vista normativo, a livello europeo, l’introduzione di specie esotiche è affrontata e disciplinata dal Regolamento (UE) n. 1143/2014 contenente disposizioni volte a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive. Il fulcro del Regolamento, entrato in vigore il 1° gennaio 2015, è l’elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza comunitaria, per le quali il testo impone una serie di restrizioni (articolo 7), tra cui il divieto di importazione e commercio, il divieto di detenzione, allevamento, riproduzione, trasporto, utilizzo e rilascio in natura.

All’interno del Regolamento, l’articolo 3 definisce la specie esotica come qualsiasi esemplare vivo di specie, sottospecie o taxon inferiore di animali, piante, funghi o microrganismi spostato al di fuori del suo areale naturale; sono inclusi le parti, i gameti, i semi, le uova o i propaguli di questa specie, così come gli ibridi, le varietà e le razze che potrebbero sopravvivere e successivamente riprodursi. All’interno dello stesso articolo 7, viene definita anche la specie invasiva, ovvero

“Quella specie la cui introduzione o diffusione si è dimostrata in grado di minacciare o influenzare negativamente la biodiversità e i servizi ecosistemici correlati.”

La definizione, quindi, enfatizza gli impatti negativi inerenti alla biodiversità e ai servizi ecosistemici, ma il Regolamento introduce anche gli impatti sulla salute umana e sulle attività economiche tra gli aspetti da considerare quando si propone una specie esotica invasiva nell’elenco di importanza dell’UE.

Le specie esotiche invasive vengono inserite nell’elenco dell’Unione solo se soddisfano determinati criteri: devono essere, sulla base delle prove scientifiche disponibili, estranee al territorio dell’Unione, ad eccezione delle regioni ultraperiferiche; devono essere, sulla base delle prove scientifiche disponibili, in grado di stabilire una popolazione vitale e di diffondersi nell’ambiente, in una regione biogeografica condivisa da più di due Stati membri o in una sottoregione marina, ad eccezione delle sue regioni ultraperiferiche; devono produrre, sulla base di prove scientifiche, un effetto negativo significativo sulla biodiversità o sui servizi ecosistemici correlati, e devono anche essere in grado di incidere negativamente sulla salute umana o sull’economia; devono richiedere un intervento concentrato a livello dell’UE e, infine, la loro inclusione nell’elenco deve essere in grado di prevenire, ridurre o mitigare efficacemente il loro impatto negativo.

Il primo elenco, comprendente 37 specie, è stato emanato con il Regolamento di esecuzione (UE) n. 2016/1141 della Commissione, del 13 luglio 2016, che adotta un elenco di specie esotiche invasive di rilevanza UE ai sensi del Regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio. Il primo aggiornamento dell’elenco è entrato in vigore il 2 agosto 2017 con l’aggiunta di altre 13 specie, il secondo il 15 agosto 2019 con l’aggiunta di 19 specie. Ad oggi, quindi, sono 66 le specie esotiche invasive rilevanti per l’UE. Il regolamento stabilisce inoltre che per includere una specie nell’elenco delle specie esotiche invasive è necessario preparare una valutazione del rischio. L’articolo 5 contiene gli elementi necessari che devono essere inclusi nella valutazione:

  • Descrizione delle dinamiche di produzione e diffusione;
  • Descrizione dei potenziali vettori di introduzione e diffusione della specie, sia accidentale che intenzionale;
  • Rischi di introduzione, insediamento e diffusione nelle regioni, anche in relazione ai possibili cambiamenti climatici;
  • Distribuzione attuale e potenziale delle specie;
  • Descrizione degli effetti negativi sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici, sulla salute umana, sulla sicurezza e sull’economia;
  • Costi dei danni potenziali;
  • Usi noti, benefici sociali ed economici derivanti dall’uso della specie.

D’altra parte, l’articolo 8 del Regolamento stabilisce che, a determinate condizioni, possono essere concesse eccezioni alle restrizioni, in particolare per attività di ricerca (soprattutto per la produzione scientifica e l’uso medico) o per la conservazione ex situ, a condizione che la specie sia tenuta in condizioni di confinamento e senza possibilità di fuga.

L’articolo 9 specifica poi che in casi eccezionali, per motivi di rilevante interesse generale, compresi quelli di natura sociale o economica, gli Stati membri possono concedere autorizzazioni che consentano alle istituzioni di svolgere attività diverse da quelle di cui all’articolo 8.

L’articolo 10 prevede poi la possibilità di adottare misure di emergenza sotto forma di restrizioni previste dal regolamento all’articolo 7, qualora lo Stato dimostri la presenza o il rischio imminente di introduzione nel proprio territorio di una specie esotica invasiva non inclusa nell’elenco dell’Unione, ma che le autorità competenti, sulla base di prove scientifiche preliminari, considerano estranea al territorio, in grado di stabilire popolazioni vitali e di diffondersi nell’ambiente, nonché di produrre un effetto negativo.

Ogni Stato membro, secondo l’articolo 13, deve quindi sviluppare e attuare uno o più piani d’azione per affrontare i vettori prioritari identificati. I piani devono contenere un calendario d’azione e descrivere le misure da adottare, nonché azioni volontarie e codici di buone pratiche per affrontare i vettori e prevenire l’introduzione e la diffusione accidentale di specie esotiche invasive. Questi piani devono includere le misure da adottare per ridurre al minimo la contaminazione delle merci, garantire l’esistenza di controlli adeguati e sensibilizzare il pubblico. Un altro obbligo degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 14, è l’istituzione di un sistema di sorveglianza delle specie esotiche invasive di rilevanza comunitaria, che raccolga e registri i dati sulla frequenza delle specie esotiche invasive nell’ambiente attraverso indagini, monitoraggio o altre procedure. Il sistema di sorveglianza deve coprire l’intero territorio degli Stati membri, comprese le acque marine territoriali, al fine di rilevare la presenza e la distribuzione di nuove specie esotiche invasive di rilevanza comunitaria e di quelle già stabilite. Il sistema sarà utile anche per valutare le misure di gestione (eradicazione o controllo) adottate dagli Stati membri. È previsto che ogni Stato membro disponga di strutture pienamente operative per effettuare i controlli ufficiali necessari a prevenire l’introduzione deliberata nell’Unione di specie esotiche invasive di rilevanza comunitaria (articolo 15). Se gli Stati membri individuano una nuova specie invasiva di interesse per l’UE sul loro territorio, devono notificarlo tempestivamente alla Commissione europea e applicare le misure di eradicazione, comunicandole alla Commissione e informando gli altri Stati membri, con l’obiettivo di un’eradicazione completa e permanente della specie in questione (articoli 16 e 17).

Entro 18 mesi dall’inserimento di una specie esotica invasiva nell’elenco, gli Stati membri devono mettere in atto misure di gestione efficaci per ridurre al minimo gli effetti della specie esotica invasiva sulla biodiversità, sui servizi ecosistemici correlati e sulla salute o sull’economia umana. L’articolo 20 stabilisce che gli Stati membri devono adottare misure di ripristino adeguate per facilitare il recupero di un ecosistema che è stato degradato, danneggiato o distrutto da specie esotiche invasive di interesse per l’UE, sempre sulla base di un’analisi costi/benefici che dimostri l’efficacia di tali misure.

Secondo l’articolo 24, entro il 1° giugno 2019, e successivamente ogni sei anni, gli Stati membri devono aggiornare e trasmettere alla Commissione una descrizione dei sistemi di sorveglianza, dei controlli, dei permessi e delle autorizzazioni concessi ai sensi degli articoli 8 e 9, della distribuzione delle specie esotiche invasive e della loro distribuzione. 8 e 9, la distribuzione delle specie esotiche invasive di rilevanza europea e le misure di gestione (eradicazione o controllo) adottate, nonché i piani d’azione e i costi sostenuti.

Il Regolamento stabilisce inoltre che ogni Stato membro può redigere elenchi di specie esotiche di importanza nazionale. Gli Stati membri si impegnano a garantire uno stretto coordinamento con gli altri Stati membri, in particolare con quelli che condividono le stesse regioni sottomarine, la stessa regione biogeografica, gli stessi confini, lo stesso bacino fluviale e qualsiasi altro problema comune.

6. QUADRI NORMATIVI DELLA LOTTA BIOLOGICA

Da un punto di vista normativo a livello europeo, la regolamentazione dell’introduzione di “prodotti” fitosanitari è il Regolamento 1107/2009 CE, che si applica alle sostanze, compresi i microrganismi, che esercitano un’azione generale o specifica contro i vegetali, le parti di vegetali o i prodotti vegetali dannosi o su di essi; queste sostanze sono chiamate sostanze attive. Tuttavia, questo regolamento non prende in considerazione l’introduzione di invertebrati a scopo di controllo biologico e quindi non esiste un regolamento UE in materia. I singoli Stati membri, quindi, provvedono alla registrazione dei singoli agenti di biocontrollo. In Italia, ad esempio, fino a settembre 2019 è ancora vietata l’introduzione di specie esotiche in natura, ai sensi del D.P.R. 357/1997 e successive modifiche “Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche” e delle sue modifiche introdotte dal D.P.R. n. 120 del 12 marzo 2003. Tuttavia, una modifica all’articolo 13 del DPR 357/1997 è stata recentemente approvata con il DPR 102 del 5/07/2019, entrato in vigore il 20 settembre 2019. In particolare, il comma 4 dell’articolo 2 stabilisce che su richiesta delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano o degli enti gestori delle nazionalità protette, l’immissione in natura di specie e popolazioni non autoctone di cui al comma 3 può essere autorizzata per motivate ragioni di rilevante interesse pubblico, connesse a esigenze ambientali, economiche, sociali e culturali, e comunque in modo che non sia arrecato danno agli habitat naturali nel loro areale di distribuzione naturale o alla fauna e alla flora selvatiche locali. L’autorizzazione è rilasciata con decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sentito il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo e il Ministero della Salute, previo parere del Consiglio di Sistema Nazionale di cui all’articolo 13, comma 2, della legge n.132 del 2016, entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda.

Viene poi stabilito che per ottenere l’autorizzazione è necessario prima valutare lo studio del rischio rispetto alla conservazione delle specie e degli habitat naturali.

I criteri per l’introduzione di specie non autoctone sono specificati con il Decreto del Ministero dell’Ambiente recante “Criteri per la reintroduzione e il ripopolamento delle specie autoctone di cui all’allegato D del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e per l’introduzione di specie e popolazioni non autoctone”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 14 aprile 2020.

Questo Decreto, quindi, stabilisce che per richiedere l’autorizzazione all’introduzione di una specie non autoctona, gli enti richiedenti devono presentare una domanda al Ministero dell’Ambiente, corredata da uno studio di rischio. Lo studio di rischio deve comprendere:

  • devono essere indicate le caratteristiche della specie o della popolazione da immettere;
  • l’area interessata dall’immissione; il periodo per il quale si richiede l’autorizzazione;
  • il motivo del rilascio (motivo di rilevante interesse pubblico di natura ambientale, economica, sociale e culturale);
  • la valutazione della probabilità di insediamento della specie alloctona nell’area di introduzione e di diffusione nelle aree circostanti;
  • l’analisi dei possibili rischi diretti e indiretti legati al rilascio della specie esotica sulle specie selvatiche autoctone, sulle specie coltivate e sugli habitat naturali presenti nell’area geografica di introduzione e nelle aree circostanti di possibile diffusione;
  • l’analisi dei possibili benefici ambientali ed ecologici apportati dall’introduzione della specie alloctona;
  • il piano di monitoraggio ambientale post-rilascio di durata adeguata per valutare gli effetti dell’immissione della specie non autoctona;
  • il piano di intervento gestionale predisposto in caso di impatti negativi imprevisti da parte delle specie alloctone.

Si stabilisce inoltre che lo studio deve basarsi su informazioni tecnico-scientifiche documentate e che deve tenere conto delle indicazioni tecniche del SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) e del Comitato Fitosanitario Nazionale.

7. REGOLAMENTO 2016/2031 SULLE MISURE DI PROTEZIONE CONTRO GLI ORGANISMI NOCIVI AI VEGETALI

Il 23 novembre 2016 è stato pubblicato il Regolamento (UE) 2016/2031 sulle misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante, che si applica a partire dal 14 dicembre 2019. Uno spazio così ampio tra entrata in vigore e applicazione è motivato dalle numerose novità che il regolamento contiene per gli operatori e i servizi fitosanitari degli Stati membri. Il nuovo regime sanitario, infatti, presenta alcuni cambiamenti rispetto alla normativa precedente. Si tratta di:

  • nuova e più ampia definizione di “operatore professionale” (OP) di interesse fitosanitario, con un conseguente aumento degli operatori soggetti alla normativa fitosanitaria. Le OP si distinguono, in base alle attività che svolgono, in: OP semplici, OP iscritte in un registro ufficiale e OP autorizzate, ossia un operatore registrato autorizzato dall’autorità competente a rilasciare passaporti delle piante ai sensi dell’articolo 89, ad applicare un marchio ai sensi dell’articolo 98 o a rilasciare certificati ai sensi dell’articolo 99 (articolo 2);
  • nuova definizione di Organismi nocivi da quarantena, ovvero un organismo nocivo che soddisfa le seguenti condizioni:
    1. la sua identità è stata stabilita in conformità al punto 1 della sezione 1 dell’allegato I; 23.11.2016 EN Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 317/15;
    2. non è presente nel territorio, in conformità all’Allegato I, sezione 1, punto 2, lettera a), o, se presente, la sua presenza in tale territorio non è diffusa, in conformità all’Allegato I , sezione 1, punto 2, lettere a) e c);
    3. è in grado di entrare, stabilirsi e diffondersi nel territorio o, se già presente nel territorio, ma poco diffusa, è in grado di entrare, stabilirsi e diffondersi dove è assente, in conformità all’Allegato I, sezione 1, punto 3;
    4. il suo ingresso, il suo insediamento e la sua diffusione, in conformità all’Allegato I, sezione 1, punto 4, hanno un impatto economico, ambientale o sociale inaccettabile sul territorio in questione o, se presente, ma non ampiamente diffuso, per le parti del territorio in cui è assente;
    5. sono disponibili misure fattibili ed efficaci per prevenire l’ingresso, l’insediamento o la diffusione di questo parassita nel territorio in questione e per mitigarne i rischi e l’impatto;
  • nuova definizione di organismo nocivo da quarantena di rilevanza unionale, ossia un organismo nocivo da quarantena incluso nell’elenco di cui all’articolo 5, paragrafo 2, per il quale il territorio definito di cui all’articolo 3, parte introduttiva, è il territorio dell’Unione;
  • nuova definizione di organismi nocivi prioritari, ossia parassiti da quarantena rilevanti per l’Unione se soddisfano tutte le seguenti condizioni: a) per quanto riguarda il territorio dell’Unione, una o più delle condizioni di cui all’allegato I, sezione 1, punto 2; b) il loro potenziale impatto economico, ambientale o sociale è più grave di altri parassiti da quarantena sul territorio dell’Unione, come indicato nella sezione 2 dell’allegato I; c) sono elencati in conformità al paragrafo 2 del presente articolo;
  • gli Stati membri e le loro autorità competenti sono tenuti a rispettare una serie di requisiti in caso di comparsa di parassiti delle piante rilevanti per l’UE nel loro territorio;
  • gli Stati membri hanno l’obbligo di effettuare indagini sul territorio, al fine di individuare focolai di organismi nocivi rilevanti per l’UE, con la possibilità di escludere alcuni parassiti difficilmente presenti sul territorio dello Stato membro (articolo 22);
  • gli Stati membri elaborano programmi di indagine pluriennali che definiscono il contenuto delle indagini da svolgere ai sensi dell’articolo 22. Tali programmi prevedono la raccolta e la registrazione dei dati relativi agli organismi nocivi presenti nel territorio dello Stato membro. Tali programmi prevedono la raccolta e la registrazione di prove scientifiche e tecniche;
  • nuova definizione di parassiti regolamentati non da quarantena rilevanti per l’UE;
  • la tracciabilità dei movimenti in entrata e in uscita di vegetali, prodotti vegetali o altri oggetti è resa obbligatoria;
  • il rilascio del passaporto delle piante rimane obbligatorio ed è esteso a ogni pianta da piantare;
  • i passaporti devono essere rilasciati dagli operatori sotto la loro responsabilità a seguito di test fitosanitari su vegetali, prodotti vegetali e altri oggetti.

8. UN ESEMPIO DI PROGRAMMA DI BIOCONTROLLO NEL 21° SECOLO: IL CASO DELLA CIMICE MARMORATA BRUNA

Invasione, identificazione e biologia
La cimice marmorata bruna, Halyomorpha halys (Hemiptera: Pentatomidae) è una specie aliena invasiva originaria dell’Asia orientale. Alla fine degli anni ’90 è stata rinvenuta per la prima volta al di fuori del suo areale originario, in particolare negli Stati Uniti, dove è presto diventata il fitofago chiave di diversi agroecosistemi. L’insetto ha quindi causato gravi danni economici, soprattutto alle colture arboree (nocciolo, melo, pero, pesco).

In Europa, la presenza di H. halys è stata segnalata per la prima volta in Svizzera nel 2007, dove però la densità di popolazione è rimasta molto bassa. La prima segnalazione in Italia risale al settembre 2012, in provincia di Modena, ed è stata seguita da una rapida espansione dell’insetto nelle aree frutticole limitrofe. L’insetto è stato poi trovato in Piemonte, Lombardia (2013), Friuli-Venezia Giulia, Marche (2014) e Veneto (2014). Nel novembre 2017 è stato rinvenuto per la prima volta nel Lazio in ambiente urbano, nello specifico in alcuni giardini privati di Roma.

Oggi la specie è segnalata nella maggior parte delle regioni italiane e in molti Paesi europei e la sua diffusione è legata al trasporto accidentale associato alle attività umane. La cimice asiatica, infatti, può viaggiare su lunghe distanze, sfruttando le rotte commerciali e raggiungendo nuovi territori attraverso autostrade, porti e aeroporti, nascosta all’interno di piante e altre merci.

Le uova di questo insetto hanno forma ovale, colore biancastro e diametro di circa 1 mm. Le uova, deposte principalmente sulla pagina inferiore delle foglie, sono raggruppate in grappoli di circa 28 elementi. Negli stadi giovanili H. halys si differenzia dalle altre specie di cimici per le piccole spine sul torace.

Sono inoltre molto mobili e in grado di percorrere lunghe distanze per raggiungere le piante ospiti. La lunghezza degli adulti, che hanno il tipico aspetto dei Pentatomidi e un colore marmorizzato, è di circa 14-18 mm. Allo stadio adulto, questo insetto è molto mobile e in grado di percorrere lunghe distanze (fino a 2-5 km in 24 ore). Lo svernamento autunnale avviene in gruppi e in diversi tipi di aree (compresi magazzini e abitazioni, con conseguenti infestazioni degli ambienti domestici). In tarda primavera (aprile-maggio), l’insetto si sposta nella vegetazione dove si nutre e si accoppia. All’inizio dell’estate (giugno-luglio) avviene la deposizione delle uova. Questo insetto arriva allo stadio adulto in agosto-settembre e attraversa cinque stadi di sviluppo, subendo anche un cambiamento di colore: da un colore rosso-giallastro con strisce nere, arriva al tipico colore marmorizzato.

Piante ospiti e danni

H. halys è una specie altamente polifaga che può nutrirsi di oltre 300 specie vegetali, sia spontanee che coltivate, con una preferenza per le piante erbacee.

La cimice attacca e danneggia soprattutto melo, pesco, kiwi, ciliegio, pero, susino, olivo e vite; piccoli frutti come lampone, mora, fragola, mirtillo; specie erbacee come mais, soia e girasole; e specie orticole come asparago, pomodoro, peperone, melanzana, fagiolo e pisello. Lesioni, imbrunimenti, decolorazioni, suberificazioni e anomalie nel colore dei frutti sono i principali sintomi dovuti alle punture succhianti di questo insetto. Questi dipendono dal fatto che lo stiletto danneggia le cellule, che vengono poi raggiunte dagli enzimi salivari, con conseguente rottura o necrosi cellulare. In alcuni casi, se l’insetto punge i boccioli dei fiori o i giovani frutti, si verificano danni precoci come l’aborto floreale o la caduta precoce dei frutti.

I cambiamenti morfologici nei frutti differiscono per la velocità con cui si verificano a seconda della specie, della varietà e del momento in cui il frutto viene danneggiato: indicativamente sulle mele il sintomo si manifesta dopo 15-20 giorni, sulle ciliegie dopo 2-3, mentre sui kiwi è visibile solo in prossimità del raccolto. La difficoltà di individuare la presenza dell’insetto sulla coltura e la manifestazione dei sintomi in tempi diversi rendono difficile l’attuazione di pratiche di controllo tempestive. Le infestazioni di Halyomorpha halys interessano soprattutto le aziende agricole che confinano con ambienti urbani o alberati (siti di rifugio per gli adulti). La specie si trova inoltre principalmente ai margini degli appezzamenti, mentre la sua presenza diminuisce notevolmente spostandosi di 10-15 metri verso l’interno. I danni possono raggiungere livelli molto variabili, fino ad arrivare al 90% dell’intera produzione. È stato stimato che il danno economico alla produzione di mele negli Stati Uniti nel 2010 è stato di 37 milioni di dollari.

In Italia, l’impatto principale è stato sulla produzione di frutta, ma non meno sui noccioleti; ad esempio, in Piemonte nel 2017 sono state registrate perdite del 90% della coltivazione di nocciole. Le perdite totali nel Nord Italia sono state stimate in oltre 250 milioni di euro per il 2019, che potrebbero arrivare a 350 milioni. I danni si stanno estendendo anche all’Italia centrale e si prevede una graduale crescita degli impatti economici a seguito dell’espansione del parassita anche nelle regioni meridionali.

Misure di controllo

Attualmente, per il controllo della cocciniglia si utilizzano barriere fisiche, in particolare reti antigrandine/anti-insetto, che devono essere posizionate prima che l’insetto inizi a migrare dai siti di svernamento al frutteto, e mezzi chimici. Tuttavia, le difese fitosanitarie contro gli attacchi del parassita presentano diversi problemi, poiché l’insetto è caratterizzato da un’elevata prolificità e polifagia, e causa danni in ogni stadio di sviluppo. Inoltre, è caratterizzato da un’elevata mobilità che gli permette di infestare rapidamente nuove aree o di tornare in ambienti già colpiti. Un altro problema legato al controllo di H. halys è che tollera molte molecole utilizzate nella lotta integrata ed è solo abbastanza sensibile ai prodotti ad ampio spettro (piretroidi, entofenprox, fosforganici). Questi ultimi, però, non sono totalmente efficaci, in quanto sono in grado di agire contro gli esemplari presenti durante il trattamento, ma non hanno alcuna azione di controllo su eventuali ricolonizzazioni, anche a brevissimo termine. A ciò si aggiunge una diversa sensibilità degli esemplari alla stessa molecola in relazione al ciclo biologico e alla stagione. Questo si traduce quindi in un uso eccessivo di prodotti fitosanitari generici, che oltre a essere rischiosi per la salute umana, colpiscono indiscriminatamente altre specie, comprese quelle utili a contenere le popolazioni di altri insetti dannosi per l’agricoltura, causando così il rischio di esplosioni demografiche. di parassiti secondari.

Controllo naturale, controllo biologico aumentativo e controllo biologico classico

Il controllo più promettente è quello biologico. Nelle aree invase da H. halys esistono predatori generalisti in grado di nutrirsi della cimice in qualsiasi stadio di sviluppo.

Si tratta di ragni, coccinelle, crisope, ortotteri, vespe, mantidi e altre specie di insetti. Tuttavia, mancano predatori specializzati, cioè i parassitoidi. Negli Stati Uniti è stato verificato che alcune specie di vespe parassite locali che parassitano le uova di cimice attaccano anche le uova di Halymorpha. L’attacco, tuttavia, non è del tutto efficace: pur portando l’ospite alla morte, il parassitoide solo raramente riesce a completare il suo stadio di sviluppo. In Italia è presente una specie di mosca esotica proveniente dal Sud America, Trichopoda pennipes, che è in grado di attaccare il parassita. Anche in questo caso, però, prove sperimentali condotte negli Stati Uniti hanno portato alla conclusione che il parassitoide non è in grado di svilupparsi efficacemente.

In Europa sono stati condotti studi per scoprire nemici naturali autoctoni in grado di contrastare la specie invasiva. Le indagini sul campo sono state condotte principalmente in Svizzera, Italia e Georgia, con l’obiettivo di individuare parassitoidi e predatori di uova, utilizzando uova sentinella (congelate o fresche) o uova deposte naturalmente e raccolte. Complessivamente, la parassitizzazione delle uova variava dal 3 al 39% in Svizzera, dove sono state utilizzate uova sentinella congelate, dall’1 al 3% in Emilia Romagna, dove sono state utilizzate uova sentinella fresche, e dal 12 al 21% in Piemonte, dove l’indagine è stata condotta raccogliendo uova deposte naturalmente. In tutti e tre i casi, il parassitoide generalista predominante è stato Anastatus bifasciatus.

In Emilia-Romagna, tra il 2018 e il 2019 è stato effettuato un rilascio massivo di A. bifasciatus per verificarne l’efficacia contro H.halys. Per testare la parassitizzazione sono state utilizzate sia uova congelate che uova deposte normalmente, anche di insetti non bersaglio. I risultati ottenuti nel 2018 sono stati positivi: per le uova deposte naturalmente, la parassitizzazione è stata del 48,5%. Nel 2019 l’esperimento è stato ripetuto, con rilasci effettuati a più riprese tra giugno e luglio, nelle vicinanze di un frutteto a gestione integrata. In questo secondo esperimento, tuttavia, i risultati iniziali sono stati deludenti: il tasso di parassitizzazione delle uova di H. halys da parte di Anastatus su uova deposte normalmente è stato del 6%.

Nelle sue zone di origine, H. halys è tenuta sotto controllo da numerosi parassitoidi delle uova, per lo più appartenenti ai generi Anastatus, Ooencyrtus, Telenomus e Trissolcus. Tra questi, Trissolcus japonicus, la cosiddetta “vespa samurai”, è stato identificato come l’antagonista naturale più promettente e l’organismo con il più alto potenziale di utilizzo nei programmi di controllo biologico.

Una femmina di T. japonicus può deporre in media 42 uova; l’insetto presenta inoltre un rapporto sessuale fortemente incentrato sulle femmine, un’elevata capacità di identificare le uova dell’ospite e di parassitizzare tutte le uova presenti. Popolazioni avventizie di T. japonicus sono state trovate nell’Italia settentrionale. A seguito della preparazione di una valutazione del rischio, nel 2021 è stato avviato un programma nazionale di biocontrollo in diverse regioni italiane con il rilascio di popolazioni di Trissolcus japonicus allevate in laboratorio nelle aree in cui H. halys si è insediata e sta causando danni economici alle colture agricole.

RIFERIMENTI (articoli/libri/video clip/pagine web)

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